Quando Ci Si Sente In Panne

Da "Le Belle Immagini", di Simone de Beauvoir, pubblicato nel 1966: 

La letteratura non mi dice più niente. Ma dovrei cercare
d’istruirmi: sono diventata così ignorante! Papà diceva: "Laurence
diventerà un topo di biblioteca come me". E invece… Perché certo, ha
regredito durante i primi anni di matrimonio, lo comprende, il caso è
classico. Danno una scossa emotiva violenta, l’amore, la maternità,
quando ci sposiamo molto giovani, prima che si sia stabilito un
equilibrio armonioso tra intelligenza e affettività. Mi sembrava di non
avere più un avvenire: ne avevano uno Jean-Charles, le bambine; io, no;
e allora a che scopo coltivarsi? Circolo vizioso: mi trascuravo, mi
annoiavo e perdevo sempre più il possesso di me stessa.

Quante donne vivono ancora questo stato d’animo? Volendo azzardare un’approssimazione verrebbe da dire la maggioranza di esse. Perché ci si adagia nei primi entusiasmi dell’amore e/o della maternità? Sono sentimenti che sconfortano e che è difficile combattere proprio perché coadiuvati dalla consuetudine e dall’approvazione tacita di chiunque.

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7 risposte a Quando Ci Si Sente In Panne

  1. mafalda @ womynspace scrive:

    Intanto parlarne fa sempre bene, che sia in un blog o per strada.
    Aspettare che si formi un corpo docente è ancora più astratto che aspettare che in TV si parli di più di certe cose. Anche se qualche programma intelligente su questi temi esiste. Mi vien da citare Camila Rasnovich per esempio.

  2. Heow le fou scrive:

    Cito:

    [Se per esempio in TV e alla radio e sulle riviste e sui giornali si parlasse di queste cose e non delle tette rifatte dell’ultima velina si aprirebbe senz’altro un dibattito, nelle famiglie, nelle scuole, nelle teste delle donne.]

    E poi c’era la marmotta che confezionava la cioccolata…

    [Chiaro che finchè in TV si vedono solo la faccia ceronata di silvio e le tette delle ragazzine di turno queste azioni avranno una portata limitata.]

    Questo è il Mondo Nuovo in cui viviamo. Non puoi pretendere eco da mezzi di informazione di regime. Non puoi pretendere attenzione da giornali, telegiornali, tolc sciou condotti da Mentana…

    Per questo occorre formare generazioni di donne immuni a questo tipo di propaganda.

  3. mafalda @ womynspace scrive:

    Cito le tue parole a mia volta:
    – [Lo spazio di confronto di ampio spettro è un concetto piuttosto astratto, ai miei occhi. Scusa la franchezza, ma non riesco a figuarmelo.]

    Per spazio di confronto intendo luoghi ove parlarne, che dovrebbero concretizzarsi nelle scuole, nei giornali, nella televisione.

    – [Dalla creazione di una coscienza di classe, ad opera di donne “liberate”. Una classe di insegnanti/educatrici che sappia formare CORRETTAMENTE le generazioni di bimbe e ragazze che avrà modo di contattare.]

    Coscienza di “genere”, forse. In ogni caso, per formare un corpo educatore è necessario, per esempio, che le facoltà universitarie da cui esce prevedano una formazione in questo senso. E ci vuole una forte azione riformatrice di tali facoltà, dal momento che la situazione attuale permette di constatare che queste facoltà sono estremamente carenti sotto ogni punto di vista della formazione delle nuove giovani persone.

    – [Volantinare, fare riunioni e congressi, mostrare film e far ascoltare canzoni, manifestare, urlare… non ha moltissimo effetto su menti che sono state plagiate per decenni. Può far sorgere l’idea, ma non molto di più. Le persone, le donne, potranno iniziare a comportarsi secondo una nuova condotta, forti di una nuova (ristretta) coscienza collettiva, ma prese individualmente, non saranno effettivamente convinte di ciò che fanno.]

    Volantinare, manifestare, prendere in mano città intere, presidiare ospedali… può far sorgere l’idea ma apre poco dibattito. Questa tua affermazione è vera solo in un contesto in cui i media portano le informazioni scelte dal regime e non le informazioni che riguardano ciò che accade in realtà. Se per esempio in TV e alla radio e sulle riviste e sui giornali si parlasse di queste cose e non delle tette rifatte dell’ultima velina si aprirebbe senz’altro un dibattito, nelle famiglie, nelle scuole, nelle teste delle donne.
    Chiaro che finchè in TV si vedono solo la faccia ceronata di silvio e le tette delle ragazzine di turno queste azioni avranno una portata limitata.

  4. Heow le fou scrive:

    quoto:

    [Perché una donna possa riuscire a svincolarsi da questo bozzolo d’acciaio di preconcetti e costrizioni è necessario quantomeno riuscire ad aprire uno spazio di confronto ad ampio spettro, dove le donne possano esprimersi, raccontarsi, liberarsi.]

    Lo spazio di confronto di ampio spettro è un concetto piuttosto astratto, ai miei occhi. Scusa la franchezza, ma non riesco a figuarmelo.

    Riesco a paragonare la situazione femminile alla situazione di un “ceto” (si, parlo di ceto per poi introdurre un altro concetto, non mi insultare) oggetto di soprusi e vessazioni. Come in moltissimi altri casi, gli oppressi sono oppressori di altri oppressi. Donne condizionate impongono la morale collettiva a nuove generazioni. Mamme e sorelle sulle figlie, pseudoeducatrici sulle educande, catechiste, suore e via dicendo.

    Parlavo di “ceto” perchè mi pare di vedere una IMMENSA massa di persone divise e vessate, solo vagamente consapevole di esserlo e totalmente incapace di costituirsi corpo unico per lottare per i propri diritti. Nell’opinione comune (e non intendo comune maschile, intendo COMUNE) il femminismo è una cosa da intellettuali di sinistra o da lesbiche.

    L’ascolto della coscienza personale, come dicevo prima, è solo un mezzo, non lo scopo. Credo che il fine (e lo credo da uomo, ripeto, potrei sbagliarmi), il mutamento della coscienza collettiva, debba avvenire dal basso. Dal bassissimo.

    Dalla creazione di una coscienza di classe, ad opera di donne “liberate”. Una classe di insegnanti/educatrici che sappia formare CORRETTAMENTE le generazioni di bimbe e ragazze che avrà modo di contattare.

    Volantinare, fare riunioni e congressi, mostrare film e far ascoltare canzoni, manifestare, urlare… non ha moltissimo effetto su menti che sono state plagiate per decenni. Può far sorgere l’idea, ma non molto di più. Le persone, le donne, potranno iniziare a comportarsi secondo una nuova condotta, forti di una nuova (ristretta) coscienza collettiva, ma prese individualmente, non saranno effettivamente convinte di ciò che fanno.

    Una bimba, la cui insegnante è consapevole degli argomenti che tratta e li tratta con il dovuto rispetto, potrà tornare a casa e dire “mamma, oggi esco a svaccarmi nel fango” fregandosene di quello che la mammina dice alle altre mammine.

    fine del Heow pensiero..

  5. mafalda @ womynspace scrive:

    Rispondo alla tua richiesta di commento riguardo a quando emerge la coscienza personale dell’individuo femminile.

    Nell’individuo ancora giovane -si parla di infanti ma anche di adolescenti- la coscienza personale viene sistematicamente depressa e repressa: le bambine vengono condizionate ad essere ordinate, carine, belle, gentili. Non devono sporcare il vestitino, essere leziose, *brave* e diligenti. Non a caso le maestre si profondono spesso in complimenti alle ottime allieve, molto migliori dei compagni maschi e maggiormente gestibili. D’altra parte però le bambine con un temperamento naturalmente ipertonico soffrono questa repressione e la sfogano molto spesso in insicurezza e autoaggressività (crisi isteriche, pianto di fronte a qualsiasi difficoltà o sopruso o insuccesso). E’ in questo modo che le bambine accusano i colpi di un temperamento, di una coscienza che tenta di emergere.

    Le donne adulte, invece, che ormai hanno assorbito totalmente il condizionamento, sentono, come dici tu, un dolore sordo, un’angoscia senza nome, uno smarrimento, quando la coscienza di sé cerca di fare capolino. Non riescono a spiegare da dove vengano certi sentimenti, che paiono esser comuni a tutte o molte donne. E il fatto che non esista un dibattito su questi temi, su queste situazioni, aggrava il tutto. Senza contare che ci immergiamo sempre di più in un contesto generale di sessismo ed emarginazione delle donne, basta vedere, per esempio, la nuova finanziaria: vengono colpite quelle professioni in cui gli lavoratori per lo più sono donne; oppure le pubblicità: ritraggono un mondo in cui le donne sono a casa a far da mangiare e fare il bucato.

    Naturalmente, come dici tu, è necessario dare ascolto alla coscienza individuale. Ma bisogna pensarci! Non è spontaneo farlo quando ti inculcano che assolutamente è sbagliato: ANZI, è CONTRONATURA! La donna che sceglie di seguire la propria coscienza è una donna snaturata, che pone la sua realizzazione personale davanti all’essere moglie servente e madre. Perché una donna possa riuscire a svincolarsi da questo bozzolo d’acciaio di preconcetti e costrizioni è necessario quantomeno riuscire ad aprire uno spazio di confronto ad ampio spettro, dove le donne possano esprimersi, raccontarsi, liberarsi.

  6. Heow le fou scrive:

    Non sono una donna. (il nick è asessuato, quindi specifico).

    Dal mio punto di vista, sicuramente parziale, miope e ingenuo, posso solo scrivere alcune affermazioni, isprirate dalle tue parole.

    1. La coscienza di massa è più forte di quella personale
    2. L’accettazione da parte di un gruppo è fondamentale per la maggior parte delle persone, di qualsiasi sesso
    3. Una donna può essere tre cose, nel mondo in cui cammino tutti i giorni. Bambina, ragazza e donna. Da una bambina ci si aspetta grazia, gentilezza educazione. Da una ragazza, sensualità, provocazione. Da una donna, dedizione famigliare, fedeltà, abnegazione, repressione degli impulsi e dei desideri.

    Unendo questi tre punti, non mi stupisco del fatto che una persona, una donna, si senta “appagata” quando risponde a progetti che altri hanno su di lei. Quando cioè è una bambina educata, una ragazza ammirata e una donna di casa.

    Come affermi tu, come afferma l’autrice, come è logico che sia, la coscienza personale non può essere messa a tacere, pur essendo essa sempre debole e sempre troppo taciturna.

    Quando questa parla e cerca di farsi sentire (credo/presumo/ipotizzo/mi permetto di dire che/insultatemi se sbaglio) una donna si senta fuori posto. Il fatto di voler soddisfare se stessa prima dei desideri di altri prende connotazioni e colori di egoismo, di inaffidabilità.
    Forse forse forse (sono un uomo, non posso dire queste cose con sicurezza) ci si Autoattribuisce l’insulto che verrà rivolto, in risposta alla nostra condotta, prima che questo sia pronunciato.

    Non credo sia possibile non ascoltare la coscienza di massa. E’ troppo forte, è troppo presente, è troppo SBRAITATA volgarmente ad ogni piè sospinto.

    Non credo che sia possibile (in tempi brevi) mutare la coscienza di massa. Dire al mondo: la tua emancipazione femminile è una colossale stronzata, il tuo è il nuovo mondo dopo il nuovo mondo, non hai cambiato casa, hai cambiato tinta alle pareti. Non in tempi brevi.

    Credo che l’unica via percorribile, a livello individuale, sia dare ascolto alla coscienza individuale. Alla voce che dice “dopo vengano gli altri, prima IO”. Non è egoismo, non è inaffidabilità, non è “scarsa femminilità”, non è civetteria, non è “essere puttane”. E’ fare quello che è meglio per sè.

    Chiedo perdono per la presunzione, invoco correzioni, postille, insulti, specie da persone che la pensino in modo differente da me.

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